In occasione del Natale di Roma abbiamo allestito una mostra iconografica. Illustrano questo editoriale di Sabina Fiorenzi immagini di alcune delle incisioni esposte.


Enea fugge da Troia con Anchise sulle spalle e Ascanio per mano

ENEA, IL PROGENITORE

Troia brucia. Enea con il vecchio Anchise sulle spalle, Ascanio per mano e i simulacri di Atena e dei Penati stretti fra le braccia, fugge dalla città e dalla sua terra per compiere il suo destino fatale.

Sbarcato dopo molte peregrinazioni sulle coste laziali, in prossimità di Lavinio, si imbatte in una scrofa, che sacrifica agli dei Penati e di cui si ciba ritualmente. Avviene poi l’incontro con il re Latino, di cui sposerà la figlia Lavinia, generando Silvio, il futuro re di Albalonga, città natale di Romolo e Remo. Narra Virgilio infatti che Enea, sceso nell’Ade, incontra suo padre Anchise, il quale, fra le ombre che popolano quel mondo sotterraneo, addita al figlio le anime di coloro che diventeranno i suoi gloriosi discendenti. Ecco Silvio, che nascerà da Enea e da Lavinia, poi i re di Albalonga, e Romolo fondatore di Roma, e via via, fino a Cesare e ad Augusto, che porterà l’impero ai confini del mondo. E la rassegna termina con l’esaltazione della missione civilizzatrice di Roma.

Marte il dio della guerra

IL DIO DELLA GUERRA E LA CUSTODE DEL FOCOLARE

Albalonga era il centro egemone delle città latine che si spartivano il territorio del Lazio in età pre-urbana. Qui, alla morte del re Proca, il primo dei suoi figli, Numitore, ottiene il trono, ma il fratello cattivo, Amulio, glielo sottrae. Per paura di una vendetta da parte dei figli di Numitore, Amulio fa uccidere il maschio e nomina sacerdotessa di Vesta la figlia femmina Rea Silvia, constringendola in tal modo alla castità. La giovane viene infatti temuta da Amulio, che cerca di interromperne la discendenza, in quanto possibile trasmettitrice di successione al trono per via femminile.

Ma ha fatto i conti senza gli dei e senza il Fato. Qualche tempo dopo Rea Silvia si reca presso una fonte in un bosco sacro a Marte per attingere acqua da usare nei sacrifici. Nel bosco avvengono alcuni prodigi legati alla natura divina del luogo e la fanciulla viene colta da un sonno ingannatore che la fa cadere addormentata.  Mentre dorme viene posseduta da Marte, che la mette incinta, preannunciando la nascita di due gemelli dalle caratteristiche particolari: Romolo e Remo. Secondo un’altra versione del mito Rea Silvia sarebbe stata posseduta da un fallo divino comparso nel focolare regio di Albalonga, che, in quanto vestale, aveva il compito di custodire.

Il ritrovamento di Romolo e Remo

I  GEMELLI  FATALI

Al termine della gravidanza tenuta occultata, Rea Silvia partorisce segretamente due gemelli, che Amulio affida ad un servo, perchè li uccida. Questi però, di buon cuore, li depone in una cesta e li abbandona alle acque del Tevere. La cesta approda ai piedi del Palatino nei pressi di una grotta sacra a Marte, chiamata Lupercale, presso la quale si trovavano anche una sorgente e un albero di fico detto Ruminale in onore della dea Rumina, protettrice dei lattanti. A quel punto sopraggiunge una lupa: ha partorito da poco e con il suo latte sfama i neonati come fossero suoi cuccioli. Romolo e Remo vengono infine trovati e finalmente salvati dal pastore Faustolo e da sua moglie Acca Larenzia, i quali allevano i bambini nella loro capanna sulla cima del Palatino. Trascorrono anni di vita pastorale; un giorno i due giovani partecipano al rito di un sacrificio a Fauno. Mentre i sacerdoti si occupano della cottura rituale della carne di una capra, nelle campagne i gemelli con alcuni compagni compiono esercizi ginnici. Dai quali vengono distolti dall’improvvisa richiesta d’aiuto di un pastore: ladri di bestiame portano via la mandria! I giovani accorrono, sgominano la banda, rientrano. Ma i ladri, pastori di Numitore, per vendicarsi rapiscono Remo e lo conducono ad Alba. I gemelli vengono separati. Romolo vuol correre a liberare il fratello, ma Faustolo, mentre lo supplica di non andare solo, gli rivela la verità sulla loro origine.

Il giovane allora raccoglie i compagni a va all’attacco di Alba. Nel frattempo Numitore ha denunciato Remo ad Amulio, con l’accusa di furto di bestiame. Questi affida il compito di ucciderlo allo stesso Numitore, il quale però, per intuizione divina, comprende che si tratta del nipote. L’agnizione porta all’accordo tra i due per eliminare l’usurpatore Amulio. Ma sarà Romolo, sopraggiunto, ad ucciderlo, riportando sul trono il nonno Numitore, legittimo re.

Conclusa l’avventura albana, i gemelli tornano definitivamente sul sito di Roma: Romolo per fondare la città, Remo per essere ucciso.

La lupa e i gemelli

IL SIMBOLO DELLA LUPA

La scelta della lupa come animale destinato all’allattamento dei due potenziali eroi fondatori è interessante per il carattere ambiguo dell’animale, predatore e al tempo stesso socievole, con aspetti quasi umani nelle cure parentali. L’allattamento da parte di un animale, soprattutto selvatico, è tema ricorrente nei miti eroici. Il fatto che i due gemelli siano allattati da una lupa è pertanto un segno distintivo e rappresenta il superamento di una prova che rivela superiorità e predisposizione a grandi imprese.

La celeberrima statua della Lupa nel Medioevo si trovava al Laterano. Nel corso del Duecento fu collocata sulla torre degli Annibaldi, dalla quale presiedeva alle esecuzioni dei condannati, come testimonia anche un disegno del 1438, che mostra, accanto alla statua, le mani mozze e inchiodate alla torre dei ladri colpevoli di aver rubato soprattutto nelle chiese. Alla fine del 1471 ci fu la famosa donazione al popolo romano da parte di Sisto IV; le due piccole statue dei gemelli sono opera di Antonio Pollaiolo. La scultura, secondo l´opinione più diffusa, veniva considerata una produzione etrusca dei primi decenni del V secolo a. C. Recenti analisi del C14 eseguite su di essa (seguite a quelle già compiute nel 2007) confermano però inequivocabilmente l´attribuzione della scultura all´epoca medievale.

VOLANO GLI UCCELLI. ROMOLO TRACCIA IL SOLCO

Volendo fondare una nuova città sulle rive del Tevere, nel luogo dove erano stati salvati e allevati, ottenuto il consenso di Numitore, ripristinato sul trono di Albalonga, i due gemelli si apprestano a chiedere quello di Giove. Romolo però vuole fondare la città sul Palatino e chiamarla Roma; Remo invece vuole la sua Remuria o Remora sull’Aventino. Solo il padre di tutti gli dei può dirimere la contesa, rendendo esplicito il suo volere attraverso l’interpretazione del volo degli uccelli, gli auspici. Il prescelto è Romolo.

Dalla cima occidentale del Palatino, allora, Romolo indica i limiti della zona che deve essere inaugurata (benedetta dal dio). L’area viene delimitata da quattro pietre che ne segnano le estremità, formando così un quadrilatero che ingloba tutto il Palatino. La linea continua, che unisce idealmente i quattro vertici dell’area, è il pomerium, lo spazio sacro della città che verrà circondato dalle mura. L’atto culminante della fondazione consiste nel compiere un’aratura sacra intorno al colle, seguendo un rituale etrusco e dopo aver indossato l’abito adatto, il cintus Gabinus.

Romolo aggioga una vacca e un toro bianchi ad un aratro di bronzo e traccia un solco intorno al Palatino, stabilendo il percorso delle mura e interrompendo l’aratura in corrispondenza della 3 porte di accesso alla futura città. Le porte infatti non godono della stessa inviolabilità della cinta muraria, che può così essere impunemente attraversata solo in corrispondenza di esse. Ma è proprio quello il gesto sacrilego che Remo compie: attraversando il solco sacro, salta virtualmente le mura in un punto non consentito. Per questo viene ucciso e il luogo dove si immaginava fosse avvenuta l’esecuzione del sacrilego era indicato ancora nel I secolo d.C. da 4 cippi, rinvenuti lungo il cosiddetto Clivio Palatino presso l’Arco di Tito.

E’ il 21 aprile di un anno intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo. Romolo rimane solo, Roma è fondata.

AB URBE CONDITA: LE PALILIE

21 aprile di un anno intorno alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo: ab Urbe condita. Da qui prende le mosse il tempo dei Romani e nei loro calendari questo giorno è segnato come festivo. Il calendario più antico, ovviamente attribuito dalla tradizione proprio a Romolo, si compone di dieci mesi – tra marzo e dicembre – in cui il tempo è regolato dalle feste.

In questo giorno per i Romani cadeva la festa dei Parilia o Palilia, dedicata alla dea Pales, protettrice di quel settore sud occidentale del Palatino denominato Cermalus. Palilia romani discendevano da una sorta di antico capodanno dei pastori Latini, legato al ciclo riproduttivo degli ovini. In quel giorno si uccidevano gli agnelli, si cagliava il formaggio e si purificavano uomini, greggi e ovili. Prima di procedere all’aratura sacra, Romolo compie dunque alcuni rituali: infatti la fondazione di Roma non consiste solo nella costruzione urbana, ma soprattutto in una serie di atti cerimoniali, politici e sacrali al tempo stesso. Per questo la data tradizionalmente tramandata dalle fonti letterarie è importante, perché coincide con l’inizio di culti e istituzioni che si possono definire pubblici.

AL PALATINO AL CAMPIDOGLIO

Dopo aver stabilito l’urbs, la seconda impresa del fondatore Romolo consiste nell’istituzione dei luoghi pubblici destinati allo svolgimento di attività sacrali e politiche dello stato. Volendo creare un raccordo fra Palatino e Campidoglio-Arce, una delle alture abitate fin dall’epoca pre-urbana, Romolo inizia la bonifica della valle posta tra i due colli, il Velabro. Il completamento di questa immane opera, con la creazione dello spazio forense, sarà effettuato solo alla fine della prima età regia (come dimostrano recenti scavi archeologici, che datano il primo pavimento del Foro al 700 a.C.).

Qui, subito fuori dalle mura ai piedi del Palatino, viene innalzato il santuario di Vesta, sede del focolare comune della città e dove si stabilisce anche la casa del re, con i culti del padre Marte, di Ops e dei Lari. Così come quello di Vesta accoglieva la casa del re, il santuario di Vulcano nel Foro accoglieva il suo Consiglio e il vicino Comizio ospitava le assemblee dei cittadini. Sulla sommità del Campidoglio poi Romolo inaugura il primo tempio della città e lo consacra a Giove Feretrio.

CHERCHEZ LA FEMME. IL RATTO DELLE  SABINE

Dopo aver inaugurato e circondato con un muro il Palatino e aver stabilito il nuovo ordinamento che si configura come una prima formula di città-stato, Romolo cerca donne da sposare per sé e per il suo popolo di soli uomini. Invia quindi richiesta in tal senso ai vicini, ottenendo però solo rifiuti: i Romani non sono ricchi, non godono di prestigio, sono dei rozzi parvenus, non c’è davvero nessuno che ambisca ad imparentarsi con loro. Offeso ed irritato dai rifiuti, Romolo decide allora di rapire le donne non concesse. Per attuare questo piano invita i vicini a festa e a giuochi organizzati in onore di Nettuno, facendo voto a Conso, il dio che presiede alla decisioni segrete, di celebrare una festa annuale in suo onore se il rapimento andrà a buon fine. Così avviene: attratti dai festeggiamenti, i superbi ma ingenui vicini accorrono nella nuova città e distratti dalle sue bellezze e dallo svolgimento dei giochi, non possono impedire il rapimento delle loro donne. Dopo il minaccioso e violento avvio, seguito immediatamente da promesse di amore e stabilità familiare, le Sabine si convincono a rimanere di buon grado con i rapitori romani, che di esse faranno le loro legittime spose, madri dei loro figli.

Al di là di qualche variante, dal racconto mitologico appare piuttosto chiara la duplice motivazione del rapimento attribuito a Romolo. Un motivo demografico, assicurare la sopravvivenza del suo giovane popolo. Un motivo politico: rafforzare ed estendere il potere della città attraverso matrimoni con i quali stringere alleanze con i popoli vicini o, in caso di rifiuto, avere il pretesto per muovere guerra verso chiunque voglia opporsi a questo progetto espansionistico.