La rappresentazione della croce, associata alla morte di Gesù, è l’evento culminante della storia della salvezza nella quale il Cristo ha offerto sé stesso al Padre per i peccati dell’umanità. La croce, strumento di ignominia e di supplizio, diventa per i cristiani simbolo di vita e di speranza attraverso la gloriosa Resurrezione. Il tema della Crocifissione ha sempre occupato un posto centrale nella produzione artistica nell’Occidente e nell’Oriente cristiani, e diversi sono stati i modi di rappresentare gli ultimi istanti della vita terrena del Cristo sulla croce.

Attraverso i secoli, gli artisti hanno riscritto, reinterpretato e fatto vivere la Passione di Cristo, narrata nei vangeli canonici (Mt 26-27; Mc 14-15; Lc 22-23; Gv 18-19), con lo scopo di attualizzare ed esplicitare un messaggio, rendendolo sempre nuovo ed efficace.

Nella miniatura (Ms. 2020, c.55r), posta in apertura della pericope evangelica giovannea, il miniaturista decide di cogliere l’attimo che precede la morte di Gesù.

Al centro della scena è il Cristo, con il corpo disteso sul legno verticale e le braccia allargate sul patibulum. Dalle ferite, causate dai chiodi e dal colpo di lancia sferrato da Longino, sgorga sangue che irrora il teschio esumato di Adamo, posto ai piedi della croce, che rappresenta l’umanità redenta dal sacrificio di Cristo. Secondo la tradizione, infatti, il Golgota è il luogo dove Adamo riposa nella tomba.

Il capo di Cristo, aureolato e incoronato di spine, è rivolto verso un gruppo di donne guidate da Giovanni. È proprio in questo istante che Gesù affida a sua Madre il discepolo prediletto: «Donna, ecco tuo figlio!». E rivolgendosi a Giovanni: «Ecco tua madre!». Dalle espressioni dei personaggi, è possibile cogliere lo stato d’animo con il quale ricevono le ultime parole: Giovanni, dopo aver ascoltato, orienta lo sguardo verso la nuova figura materna alla quale è stato affidato; la Madonna, invece, dall’aria più impietosita che dolente, raccoglie le mani in preghiera accettando con fiducia il testamento lasciato dal suo Figlio naturale.

Questa tipologia di rappresentazione fa luce sull’esegesi teologica, che riconosce nel sangue versato da Gesù la sorgente originale del sacramento dell’Eucarestia, e nella riunione della Madre di Dio e l’Apostolo amato nei momenti che precedono la morte del Signore, l’atto di nascita della Chiesa.

La carica emotiva del commiato che precede la morte, è accentuata dalla partecipazione di altre donne, poste con la Madre alla destra del Cristo. Le tre figure che accompagnano la Vergine e il discepolo Giovanni verso il luogo del Golgota trovano riscontro nei brani evangelici, e sono identificabili con una sorella della Madonna, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.

Di grande rilevanza sono i colori che il miniatore ha deciso di attribuire alle vesti della Vergine e dell’altra pia donna posizionata alle sue spalle, forse Maria di Màgdala. La Madre di Gesù indossa una lunga veste grigia completa di un manto di colore blu, che le avvolge il capo e gran parte del corpo, mentre Maria di Màgdala è avvolta da un manto rosso. Nella tradizione iconografica, sia il rosso che il blu sono i colori delle vesti che identificano la Vergine Maria, simboleggiano la natura umana e divina del Figlio alla quale è legata come Madre di Gesù vero Dio e vero Uomo. In questa scena del Monte Calvario, l’artista ha voluto assegnare le due cromie a due personaggi differenti, questo per sottolineare attraverso il colore rosso, portato da Maria di Màgdala, il ruolo dell’umanità nella storia della salvezza.

La croce di Cristo, è fiancheggiata da quelle dei due ladroni ritratte di sbieco. A differenza della compostezza ascetica di Gesù, i malfattori si contorcono dal dolore estraniandosi dal trambusto che avviene intorno a loro. Dall’altra parte della croce, due figure maschili a cavallo – forse identificabili con i sommi sacerdoti o gli anziani – puntano il dito verso il Cristo, discutendo sulla questione se l’uomo crocifisso sia veramente il figlio di Dio. I due personaggi indossano una pellanda a mezza gamba e un copricapo tipico della prima metà del Cinquecento.

In secondo piano, uno stuolo di armigeri a monocromo assiste alla scena. Nel Calvario descritto dal Maȋtre de Claude de France – a cui sono attribuite le miniature contenute nell’Evangelario – lo sfondo paesaggistico è ambientato in uno spazio omogeneo e misurabile in linea con le leggi rappresentative, che a partire dal Quattrocento condizioneranno la pittura europea. Si scorgono i contorni della città di Gerusalemme, raffigurata come una città turrita e protetta da mura.

Intorno alla pagina si dispone una cornice che presenta lungo le bande laterali due motivi ornamentali diversi tra loro. Nella prima banda a sinistra, si dispiega un motivo decorativo a grottesche su fondo oro, caratteristico dell’arte rinascimentale; nella banda di destra, invece, sono rappresentati in successione gli oggetti e gli strumenti di tortura impiegati nella passio Christi: i dadi da gioco che simboleggiano i soldati romani; le trenta monete che Giuda Iscariota ricevette dai sommi sacerdoti; il gallo che cantò durante il rinnegamento di Pietro; la colonna della flagellazione; i flagelli; la brocca con il catino che ricorda il gesto di Pilato; la spada con la quale Pietro tagliò l’orecchio del sommo sacerdote; la croce con la corona di spine e il cartiglio anepigrafo; la scala, la lancia e la canna con la spugna; il sepolcro vuoto.

Lo stemma al centro del riquadro inferiore ostenta il blasone del dedicatario, Francesco di Valois-Angoulême (1518-1536), Delfino di Francia e figlio di re Francesco I (1494-1547). Lo stemma è contornato da una “lista” caricata dal motto: Qui passus pro nobis Domine miserere nobis. []