La Casanatense ha richiesto e ottenuto 4 giovani volontari del servizio civile in ausilio ad alcuni settori lavorativi della biblioteca come la promozione, l’accoglienza, la catalogazione. Sono tre ragazze e un ragazzo che svolgeranno presso di noi un servizio della durata di un anno, che terminerà a ottobre 2018. Uno dei lavori loro affidati è quello della sistemazione (campagna fotografica, catalogazione, trasferimento in una diversa collocazione) della piccola raccolta di reperti archeologici
che fa parte del patrimonio non librario della Casanatense. Serena Paolini e Eleonora Vatta, laureate in archeologia, hanno svolto con cura e attenzione questo lavoro, il cui risultato sotto forma di schede descrittive dei singoli pezzi, pubblichiamo qui di seguito, con una piccola introduzione di carattere storico e descrittivo.
Archeologia casanatense di Serena Paolini e Eleonora Vatta
Caratteristica dei secoli XVII e XVIII è una visione enciclopedica della cultura, che si concretizza anche nella creazione di collezioni sia private sia accessibili al grande pubblico, composte da oggetti di interesse storico-artistico, archeologico e scientifico, oltre che da curiosità naturali ed esotiche. In questo contesto è inquadrabile anche l’attività dei padri Domenicani della Minerva, i quali perseguirono l’obiettivo di incrementare il patrimonio bibliografico della Biblioteca Casanatense e al contempo di arricchirne le raccolte in senso museale. La piena realizzazione di tale scopo si ha con il prefetto Giovan Battista Audiffredi (1714-1794), antiquario, numismatico e collezionista di reperti archeologici, oltre che naturalista e astronomo, a cui si deve l’idea della realizzazione di un museolum situato all’interno degli ambienti della Biblioteca.
Qui si è voluta recuperare la piccola sezione ad oggi rimanente di oggetti di interesse archeologico di varia origine e provenienza. Da questo insieme estremamente eterogeneo sono stati ricavati due percorsi tematici, precisamente Lucerne e Materiali di contesto etrusco (ex voto e forme vascolari).
LUCERNE
La lucerna nasce intorno al II millennio a.C. come pratico strumento di illuminazione. Nel corso dei secoli subisce evoluzioni tecniche e formali che da profili aperti (“a ciotola” con orlo talvolta sagomato per collocarvi lo stoppino) man mano giungono a modelli con serbatoio chiuso e beccuccio più pronunciato, realizzati a matrice bivalve.
Tra le tipologie più interessanti troviamo le cosiddette “Firmalampen”, così chiamate per la presenza sul fondo di un bollo impresso a rilievo (indicante il nome dell’officina), prodotte in area padana dal I sec. d.C. fino al IV sec. d.C. L’esemplare posseduto dalla Biblioteca Casanatense (n. inv. 290131 + 290150), grazie al bollo “FORTIS”, è riconducibile all’officina modenese di L. Aemilius Fortis, attiva dalla metà del I al II sec. d.C.; presenta al centro del disco come elemento decorativo una maschera presumibilmente di fanciullo.
Un altro esemplare di rilievo della collezione è una lucerna (n. inv. 290132) riconducibile al contesto paleocristiano per la presenza sul disco del monogramma di Cristo entro corona circolare affiancata da due palme. Grazie a un appunto risalente all’epoca del suo ingresso in biblioteca, sappiamo che è stata ritrovata nel cimitero di Priscilla nella via Salaria nell’inverno del 1865 e acquistata nel settembre dello stesso anno da padre Gatti, prefetto della Casanatense.
Tra II e III secolo d.C. si riscontra una perdita di qualità nella produzione di lucerne fino a giungere a modelli con corpo arrotondato, beccuccio non ben distinto da esso e con decorazione a perline nella parte superiore. Questa produzione può essere considerata tarda in quanto è attestata fino agli inizi del V sec. d.C.; a questi anni sono databili due lucerne appartenenti alla collezione della Biblioteca (nn. inv. 290129, 290130).
MATERIALI DI CONTESTO ETRUSCO
EX VOTO
Per ex voto si intende la riproduzione in terracotta o in altro materiale di parti esterne o di organi interni del corpo umano (ma non solo), offerta come donaria ad una divinità. Il dono accompagnava una richiesta di protezione o di guarigione da parte dell’offerente oppure rappresentava la gratitudine “per grazia ricevuta”. Tale usanza è largamente diffusa in molte culture sin dall’antichità e continua ancora oggi. Le prime attestazioni in area etrusco-laziale si registrano tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. per esaurirsi entro i primi anni del I secolo a.C.
E’ da ascrivere a questo ambito culturale la piccola collezione posseduta dalla Biblioteca Casanatense costituita da 19 ex voto, di cui la maggior parte anatomici. Nello specifico si contano 14 teste (nn. inv. da 290114 a 290127), tra femminili e maschili, con o senza velo: la rappresentazione di figure di sacrificanti con velato capite è strettamente legata al ritus Romanus, mentre in alcuni centri costieri dell’Etruria meridionale persiste l’uso tipicamente greco ed etrusco di sacrificare aperto capite (senza velo).
A queste si aggiungono una figura di madre seduta che allatta un neonato (n. inv. 290140), una gamba (n. inv. 290139) con piede calzato (è presente la suola del sandalo; i lacci, oggi non più visibili, probabilmente erano sovradipinti) e un elemento anatomico (n. inv. 290128) di difficile interpretazione (forse una vescica maschile o un utero prolassato).
Infine, due figure animali di bovino e di cavallo (nn. inv. 290137 e 290138), il cui dono poteva forse avere lo scopo di chiedere alla divinità la guarigione dei corrispondenti animali domestici in carne ed ossa; di consacrarli ad essa; oppure di sostituirli ai più indispensabili e costosi animali veri nel rito del sacrificio.
FORME VASCOLARI
Al contesto etrusco appartengono, oltre agli ex voto, tre forme vascolari. Le più antiche sono il kantharos (una coppa per bere con due alte anse) e il calice (nn. inv. 290143 e 290144), databili tra la fine del VII sec. a.C. e la metà del VI sec. a.C., in bucchero, un particolare tipo di ceramica lavorata al tornio caratterizzata da colore nero uniforme (sia sulla superficie che nell’impasto), dovuto alla materia prima e alla tecnica di cottura. Inoltre, la collezione comprende un guttus a vernice nera (n. inv. 290145), con decorazione sulla parte superiore del disco raffigurante un volto di fanciullo. Il nome deriva da gutta (goccia), perché il liquido contenuto (presumibilmente un prezioso unguento o un costoso profumo) veniva versato goccia a goccia.