Calligrafiche elegie
Un autografo di Pomponio Leto in Casanatense
[di Valerio Sanzotta, collaboratore esterno alla catalogazione manoscritti in Casanatense]
Imprescindibile, nella storia dell’umanesimo, è la figura di Pomponio Leto, animatore dell’Accademia Romana, commentatore degli antichi classici, maestro che lasciò tracce durevoli negli allievi dello Studium. Nota a tutti coloro che, anche liminarmente, si sono interessati all’umanesimo italiano è l’imponente monografia su Pomponio di Vladimiro Zabughin : tale lavoro rimane ancora insuperato, nonostante siano passati ormai quasi cento anni dalla sua pubblicazione, soprattutto per la congerie di notizie ricavate dai codici pomponiani che lo Zabughin ebbe la fortuna e la diligenza di consultare.
La sorte ha voluto che fossero diversi gli autografi di Pomponio Leto giunti fino a noi, sia per quanto riguarda i suoi commenti ai classici, conservati nei margini dei manoscritti a lui appartenuti, sia per i codici approntati di sua mano, il cui maggior numero è conservato ora in Vaticana.
Vi giunsero nel 1602 attraverso la biblioteca di Fulvio Orsini, al quale, tra l’altro, si deve il primo tentativo di identificazione degli autografi di Pomponio.
E’ per questo doveroso riportare all’attenzione del pubblico colto, e non solo del lettore specialista, il ms. 15 della Biblioteca Casanatense, interamente scritto da Pomponio Leto, come già fu notato per primo da Giovanni Muzzioli, e probabilmente, come si dirà, appartenente al gruppo di codici realizzati dall’umanista per Fabio Mazzatosta, allievo di Pomponio e membro dell’Accademia Romana.
Si tratta di un manoscritto di dimensioni assai ridotte (mm 163 × 108), composto di 109 carte membranacee; è attualmente formato di 12 quinioni, anche se presumibilmente, a giudicare dalle lacune del testo, deve aver perduto due quinioni all’inizio; l’attuale primo fascicolo è privo di metà della prima carta, di cui resta un piccolo brandello, e dell’intera seconda; l’ultimo fascicolo ha perso un foglio e doveva essere quindi in origine un senione; tali lacune riscontrava certamente già nel 1736, data di ingresso del codice in Casanatense, Gian Domenico Agnani, prefetto della biblioteca dal 1733 al 1746 , quando su c. IIIr scriveva: «1736 / Codex utrinque imperfectus / scriptus circa initia Sec. XVI / Tibulli carmina».
Per quanto attiene alla decorazione, si segnalano alle cc. 13r e 82r titoli in oro e in azzurro; sulle stesse carte compaiono iniziali a foglia d’oro inserite in un fregio bordato d’oro lungo tre lati della pagina a fondo azzurro, rosso e verde con ornamenti a cordoni bianchi terminanti in palmette. Lo stesso motivo, lungo il solo margine interno della pagina, orna le iniziali dorate alle cc. 25r, 48r, 65r, 90r. Sono inoltre presenti 145 piccole iniziali a foglia d’oro su fondi filigranati blu, rossi e verdi.
La legatura è del XVIII secolo, in pergamena chiara su assi in cartone, restaurata dall’officina Santin nel 1987. Sulla risguardia posteriore è incollato un frammento cartaceo, forse settecentesco, ricavato da un orario delle lezioni del Collegio Romano, ma sul quale non è stato possibile rintracciare notizie più precise.
Come si diceva, per affinità di scrittura e di ornamentazione con altri autografi di lusso eseguiti per Fabio Mazzatosta (Vatt. Latt. 3264, 3279, 3875, 3285, 3302; London, British Library, King’s 32 e Sloane 777), si è proposto di ascrivere al gruppo anche il manoscritto casanatense, a partire da Muzzioli, seguito poi dal Ruysschaert e da Rossella Bianchi: particolarmente grave dunque la mutilazione iniziale subita dal codice, che potrebbe averci privato di importanti elementi di identificazione, come ad esempio lo stemma Mazzatosta. In questo codice la scrittura di Pomponio ha raggiunto la sua perfezione ed è qui minuta, elegante e regolare, lievemente inclinata a destra. Tra le caratteristiche pomponiane più degne di nota sono la tipica g onciale, il nesso et a forma di 8 inclinato, la f con occhiello chiuso, la N maiuscola eseguita in un tempo solo. Curioso è poi l’utilizzo arbitrario delle lettere maiuscole, in principio e fine di parola, tendenza che si accentuerà negli ultimi anni di vita dell’umanista .
Rare note marginali la cui maggioranza è anch’essa ascrivibile alla mano di Pomponio.
Il codice contiene le elegie del Corpus tibullianum, la Cynthia di Properzio e il Liber di Catullo, curiosamente introdotto, a c. 82r, dal titolo “C. Cornelio Gallo Q. Valerius Catullus”, con un patente errore, quando è noto che il dedicatario del Liber catulliano è Cornelio Nepote.
Lo stato in cui versano i testi è piuttosto malconcio. Delle Elegiae di Tibullo manca tutto il primo libro e gran parte del secondo; in tutte e tre le opere si registrano molte varianti nell’ordine dei versi e nella disposizione dei carmi, oltre alla presenza delle cosiddette ‘finestre’, certamente corrispondenti a uno stato lacunoso del testo dell’antigrafo.
Per tali caratteristiche il codice, così degno di rilievo per la storia della scrittura e della cultura umanistica, non ne ha alcuno nella tradizione manoscritta di Tibullo, Properzio e Catullo e può essere serenamente relegato nella schiera dei recentiores.
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