Tornei, giostre e balletti a cavallo di Anna Alberati
Si parlerà di tornei, le giostre e i balletti a cavallo combattuti e allestiti nell’arco di tempo che va dal 1561 al 1690 in diverse città italiane e straniere: Bologna, Ferrara, Firenze, Mantova, Milano, Modena,Monaco di Baviera, Napoli, Parigi, Parma, Piacenza, Roma, Torino, Vicenza, Vienna ovvero le corti principesche più fastose del tempo.
Queste manifestazioni, genericamente definite feste d’armi, sono alcune delle forme di spettacolo in uso nel periodo denominato tardo Rinascimento e Barocco (periodo in cui la festa di Corte raggiunge il suo più alto livello di splendore): esse sottintendono tutta una serie di esperienze del passato accresciute e arricchite dall’ampliamento di tre elementi: la poesia recitata, la musica e soprattutto l’apparato scenografico. “Fu sempre nobilissima usanza di tutte le più – civili nazioni con pubblici spettacoli trattenere nell’ozio della pace la moltitudine, tra i quali… quei giochi, ch’avendo sembianza di guerra, rallegrano infinitamente l’animo di chi gli vede, e rendono il corpo di chi gli esercita più vigoroso et agile per le vere militari imprese… Sopra tutti gl’altri bellissimi e nobilissimi sono quelli che si fanno a cavallo…”.
Il torneo (il combattimento a squadre) e la giostra (il combattimento a singolar tenzone), tra le più tipiche manifestazioni dell’epoca feudale, nacquero in età medioevale, appunto come esercizi cavallereschi e guerreschi da fare in tempo di pace. Ad essi partecipava la classe aristocratica davanti alla popolazione della città per mostrare tutta la propria potenza.
Si diffusero in tutta l’Europa grazie ai Franchi, e per secoli ebbero un carattere di esercizio violento con conseguenze cruente, finché la drammatica morte del re di Francia Enrico Il in un torneo a Parigi nel 1559 causò la decisione di stabilire definitivamente il carattere “cortese” di queste manifestazioni. Divennero così esclusivamente esibizioni di cavalieri, riuniti in squadre, con il corteggio di scudieri e paggi, i quali dopo aver fatto la “mostra” passeggiando in corteo nel campo si incontravano e scontravano in finte battaglie e armeggerie diverse.
Le giostre e i tornei si potevano combattere a cavallo e a piedi, alla barriera (quando in mezzo al campo veniva costruita una lizza o barriera o sbarra) e in campo aperto. Le giostre potevano essere di vario genere: all’incontro, all’anello, al Saracino o al Moro, quintana, e comprendevano combattimenti con spade, stocchi, zagaglie, asce, mazze, pugnali, e in seguito anche con le pistole.
Il cerimoniale era il seguente: messi e araldi pubblicavano il bando del torneo, nel quale compariva il motto della sfida, chiamato divisa o cartello.
La sfida era simbolica: si poteva combattere per la bellezza, l’intelligenza o la virtù di una dama, per la gloria del proprio casato, o per questioni e controversie relative all’amore. I torneanti si dividevano in mantenitori (coloro che rappresentavano il signore che indiceva il torneo) e venturieri (quelli che si opponevano al motto della sfida): il luogo dell’evento era di solito la piazza maggiore della città, più raramente un cortile, recintata da uno steccato rettangolare o circolare con due porte (talvolta archi trionfali).
Venivano innalzati un palco per i giudici e una tribuna per gli ospiti d’onore ornata di tappeti e arazzi e coperta da una tettoia o un velario, le gradinate accoglievano il pubblico degli spettatori.
Ogni torneante con la sua squadriglia e gli altri accompagnatori doveva scegliere una sola combinazione di colori (per essere riconoscibile), corazze, sottanini di stoffe pregiate ricamate in oro e argento con pietre preziose, mantelli, cimieri piumati e gualdrappe altrettanto preziose per i cavalli formavano la pompa del torneo.
Per tutta la prima metà del Cinquecento furono combattuti i tornei detti a soggetto o a tema, nei quali ogni combattimento era stato ridotto quasi a uno spettacolo coreografico: il vero fine era quello di esaltare il Principe o Signore della città e farne il centro di ogni leggenda.
Ma il 3 marzo dell’anno 1561 c’è un evento eccezionale: si allestisce a Ferrara Il Castello di Gorgoferusa, un torneo particolare (chiamato anche cavalleria o cosa d’arme) che rappresenta il prototipo della vera festa cavalleresca barocca, nella quale confluiscono tutti gli elementi sopra descritti con aggiunto, in più, l’inserimento di una serie di elementi nuovi e originali, che si perfezioneranno via via ma che rimarranno sostanzialmente tali fino alla fine del Seicento.
Questo torneo-festa, in particolare, nasceva da una sfida: liberare lo sposo di una regina araba fatto e tenuto prigioniero da una fata, Gorgoferusa, nel suo castello incantato, difeso da due giganti e un dragone. Nello spazio del cortile maggiore, davanti alla piazza, venne costruito un teatro con tre gradinate; sul quarto lato c’era la scena, sulla quale compariva un castello dipinto in prospettiva con alcune parti praticabili per i musicisti e gli attori che accompagnavano con versi e canti le comparse dei cavalieri su carri e animali mostruosi.
L’apparato scenografico era assai complesso e curato, così come la successione delle varie azioni. I venturieri dovevano anche fare una specie di quintana in cui il bersaglio era rappresentato da un automa, raffigurante una Vittoria d’oro, che porgeva una ghirlanda di fiori di seta e d’oro, con le braccia legate a un congegno.
Ogni cavaliere che andasse per essere coronato premeva una lamina che faceva alzare le braccia dell’automa che in questo modo lo imprigionava.
Solo alla fine il congegno fu regolato in modo da incoronare l’ultimo cavaliere e subito dopo ci fu uno scoppio di fuochi d’artificio seguito da un terremoto e dal crollo di tutto il castello, che scoprì il drappello dei cavalieri incantati, ognuno dei quali mostrava la pompa della sua persona.
Gli elementi nuovi che compaiono e che saranno poi, ampliati, caratteristici della festa cavalleresca barocca, sono quindi: l’introduzione recitata e cantata, il combattimento prefigurato con una coreografia appositamente studiata, le comparse di carri trionfali o allegorici e di macchine sceniche, il teatro o spazio del torneo che cambia fisionomia e che si arricchisce di un palcoscenico e della scena mutevole, il canto che compare in vari momenti, e infine la musica, inserita come accompagnamento e a commento alle diverse azioni.
L’apparato divenne sempre più complesso e sorprendente, sempre più spettacolarmente “barocco”. Vennero operate modifiche anche sullo spazio usato: mentre fino a quel momento il torneo si era svolto nelle lizze o entro uno steccato provvisorio, circondati da anfiteatri fatti a gradoni, in quegli stessi spazi (piazze e cortili, e anche giardini, ma poi sempre nell’ambito chiuso del palazzo residenza del Principe), si cominciarono ad erigere tribune a ponti sovrapposti, sfruttando così lo spazio in altezza (e creando lo spunto da cui ebbe poi origine l’idea del teatro chiuso fatto a palchetti, idea che ebbe in seguito tanto successo). Tutte costruzioni effimere fino alla creazione di un teatro stabile costruito appositamente per i tornei, il Teatro Farnese di Parma, inaugurato nel 1628.
Alle due estremità del campo, di solito un vasto anfiteatro provvisorio all’aperto, con pianta ovale o poligonale o più raramente rettangolare, si aprivano due porte, con arco trionfale, che servivano agli ingressi separati del mantenitore e dei venturieri, mentre sui lati lunghi si aprivano altre piccole porte per l’uscita delle squadriglie.
Le diverse comparse in campo venivano fatte su carri e macchine di estrema raffinatezza scenografica, nei quali confluiva tutto il gusto spettacolare del tempo: “comparivano orche marine, draghi infernali, mostri col grembo gremito di armati, fontane miracolose, cavalli alati, figurazioni di animali esotici”, venivano costruiti palcoscenici veri e propri dove potevano essere usati trucchi scenografici e meccanismi sorprendenti come voli, sparizioni, mutamenti di ogni genere. Se i tornei venivano fatti di notte si usavano le più ricche soluzioni per l’illuminazione, e spesso la conclusione della festa era segnata da uno spettacolo pirotecnico.
I costumi e gli abiti erano ricchissimi, sia quelli creati secondo il soggetto del torneo, sia quelli dei cavalieri torneanti che rispettavano gli armamenti e i colori delle loro casate. Per la loro confezione venivano usati i materiali più preziosi, “veluto incarnato con reca-mi ricchissimi di canotigli d’oro…, rascia turchina con bande di veluto pavonazzo con trina d’argento e calze di raso turchino…, panno rosa secca guarnito con fogliami di raso pavonazzo…, veluto nero fodrato di tela d’oro…, ormesino con fibbia gioiello e alamari con ricamo di perle e d’oro in forma di palma e il frutto un rubino…”. Ecco per esempio la descrizione di un torneante (1607): “… era armato d’armatura tutta indorata a fuoco, portando cimiere alto grandissimo da cinque braccia, che aveva in punta un cipresso naturale, tutto fin’al tronco adorno di piume rosse…, il girello di lui era pomposissimo di broccato fondo rosso, con alcune frangie grandi, vermiglie e d’oro, fodrate di tela d’oro…, cavalcava cavallo grandissimo leardo…, la bardatura del cavallo e ‘1 girello anco erano di drappo di seta rosso, con molte frappe & molti fiocchi tutti cremesini… tenendo il cavallo pennacchio alla testa bellissimo, tre braccia e mezzo ben grande con fiori d’oro & tutte le penne cariche di tremaruole d’oro e ‘1 frontino indorato…”.
Il combattimento poteva essere di due tipi: una vera competizione sportiva come la lotta nelle diverse specialità tipiche del torneo, oppure il combattimento preordinato, nel quale nessuno poteva riuscire vincitore o vinto. L’azione prevedeva in genere, nel corso delle finte battaglie e nelle zuffe incruente, l’intervento risolutore di un particolare deus ex machina, il quale costringeva tutti i combattenti alla pace.
È probabilmente dal combattimento preordinato e dal desiderio colto “di rinnovellare gli spettacoli di Atene e di Roma” che nasce il balletto a cavallo, un genere di spettacolo che fonde alcune caratteristiche del balletto teatrale con il torneo-spettacolo, mescolando ballo, musica, poesia, scenografia, scherma, equitazione, e che è una creazione squisitamente fiorentina.
Il primo esempio di questo spettacolo, infatti, è il Ballo a Giostra de’ venti “un giuoco di cavalli a guisa di balletto” (come dice il relatore della descrizione, Camillo Rinuccini) fatto a Firenze in piazza Santa Croce il 27 ottobre del 1608: i trentadue cavalieri che simulavano i venti “a mutanze di corvette all’innanzi, in volta di treccia, e con passate, e invitati ora a due, ora a quattro, ora a otto, e per dar fiato a’ cavalli, sottentravano gli otto traversali, saltando quattro in volta, e quattro con passate, e le quarte vicendevolmente gli scambiavano sempre di galoppo, con raddoppiate, e trecce, conserrati, quando a due, quando a quattro, quando tutti, ed alla fine si spartirno i caracolli, co’ quali scorsa più volte la piazza tutta, si condussero a far reverenzia alla Serenissima Sposa…: fu questo spettacolo, come cosa magnifica per esser di cavalli, e come invenzion bizzarra per far ballare animali, rimirata da tutto il popolo, con molta attenzione”.
Per quanto riguarda la musica, che accompagnava sempre i diversi momenti dello spettacolo, ben poche sono le tracce rimaste (essendo l’incisione musicale assai costosa e in realtà ritenuta inopportuna spesso per un’arte il cui valore era considerato l’ascolto): è solo nelle descrizioni dei libretti e delle relazioni dei tornei e balletti equestri che si possono dedurre suggerimenti per individuare le forme della musica usata, la quale sostanzialmente era di due tipi, una dolce e soave (con strumenti a corda e a fiato, come violini, viole, flauti, cornamuse) e una guerresca (con l’uso di trombe, tamburi e pifferi in principal modo), mentre i recitativi, le arie e le parti vocali per i cori possono ritrovarsi per similitudine nelle musiche degli intermezzi e nei primi drammi per musica, e inoltre per i balletti a cavallo sicuramente i compositori attinsero al repertorio coevo delle danze strumentali, come gagliarde, pavane, correnti, gighe, allemande, sarabande.
In tutte le corti dell’Italia settentrionale, e nelle città di Ferrara, Firenze, Parma e Torino, soprattutto, i tornei e le feste a cavallo modulati sul gusto rinascimentale e barocco furono di gran moda, dovuta anche alla volontà dei Signori e dei Principi delle rispettive corti che con la loro partecipazione personale a questi meravigliosi spettacoli tendevano a confermare e insieme a celebrare la propria potenza.
I tornei cavallereschi, diversissimi nella sostanza (e poi anche nella forma) da quelli combattuti nel mondo medioevale, vengono a portare un mutamento radicale nelle feste di corte del Cinquecento e del Seicento in tutta l’Europa, e rappresentano una delle conseguenze della tendenza generale verso un potere politico dinastico di tipo autocratico: questa sorta di “rinascita della cavalleria”, che si rivela anche con la moda dei poemi e romanzi cavallereschi (Orlando Furioso e Gerusalemme Liberata in particolare), nonostante la realtà feudale fosse ben lontana, porta una serie di atteggiamenti che vogliono riproporre i modelli di comportamento della società cavalleresca feudale, insieme alla sua mitologia, adattati e rivitalizzati nella nuova vita di corte, soprattutto italiana, in cui “gli atteggiamenti e i valori ereditati dalla cavalleria furono ricoperti da una elegante vernice neoplatonica”.
In Francia, a Parigi, fu il balletto a cavallo ad avere la diffusione maggiore, assumendo il nome di carousel e la presenza di Luigi XIV nello spettacolare torneo del 1662 dà l’idea della vitalità di questa forma di spettacolo, mentre in Germania e in Austria il torneo e la festa a cavallo si modellarono perfettamente sugli esempi italiani, anche perché, soprattutto a Vienna, confluirono un gran numero di librettisti, musicisti e architetti provenienti dall’Italia, grazie ai quali, nel 1667, fu allestito uno dei più favolosi spettacoli del genere: La contesa dell’aria e dell’acqua. Solo alla fine del Seicento il torneo, la giostra e il balletto a cavallo, salvo pochissime eccezioni, persero il loro fulgore e il loro fascino, sia per i committenti che per gli spettatori, lasciando il campo ad altri generi di spettacolo.
L’editoriale è un estratto dell’articolo Guerre d’amore e di Bellezza, di Anna Alberati pubblicato nel catalogo della Mostra Cavalleria e ordini cavallereschi in Casanatense allestita in Biblioteca nel 1995.
Le immagini che illustrano l’editoriale sono tratte da
– R. Gualterotti, Feste nelle nozze del Serenissimo Don Francesco Medici Granduca di Toscana... In Firenze, nella stamperia de’ Giunti, 1579 K.VII.19.1 CCC
– Il Trionfo della virtù. Festa d’armi a cavallo, rappresentata nella nascita del serenissimo signor Principe di Modana l’anno MDCLX. In Modana, nella stamperia di Bartolomeo Soliani, [1660]