Osterie e vino a Roma tra fine ‘800 e primo ‘900
Ottobre, tempo di vendemmia. Proponiamo ai nostri lettori una carrellata in alcuni luoghi del vino, le osterie della città di Roma, nei secoli passati diffusissime su tutto il territorio della Città e sulle strade consolari, in particolar modo sull’Appia, che conduce ai Castelli Romani, terra di produzione del celebre vino bianco.Luoghi mitici della tradizione gastronomica romana, (che nel tempo cambiano nome in “trattoria” e in molto altro ancora) poco a poco scompaiono o si trasformano in pretenziosi ristoranti che più nulla conservano della freschezza e della schiettezza di cibi e personaggi di un tempo.

Guide in questa nostra passeggiata nella Roma del passato assumiamo Hans Barth e i “Romani della Cisterna”.

Giornalista tedesco con residenza a Roma alla fine del secolo XIX Hans Barth effettuò un censimento di tutte le osterie, bettole, mescite disseminate fra Verona e Capri. La sua guida, Osteria Kulturgeschichtlicher Führer durch italiens schenken von Verona bis Capri, pubblicata a Costanza nel 1908, due anni dopo vide la luce anche in Italia, con una roboante prefazione di Gabriele D’Annunzio. La sua lettura fece conoscere ai contemporanei un insospettato universo di insegne, ostesse, botti e vini, con una particolare densità fra i ruderi e i palazzi della Capitale. La seconda edizione italiana (posseduta dalla Casanatense) uscì a Firenze nel 1922. La costituzione del gruppo de “I Romani della Cisterna” (dal nome del locale dove si riunivano) fu promossa da Ceccarius, al secolo Giuseppe Ceccarelli (Roma, 1889-1972). Vi aderirono Jandolo, Munoz, Mastrigli, Petrolini, Trilussa e tutti quelli che, a partire dagli anni ’30, con una sola parola si chiamarono “romanisti”, ad indicare un comune e appassionato amore per Roma al di sopra delle diversità culturali e politiche. Ma perchè bere vino, si potrebbe domandare? Si lasci la risposta a Barth che nel 1922, nel Proemio alla seconda edizione italiana della sua Guida, nota con tristezza che si vanno sempre più ingrossando le fila dei bevitori d’acqua:”E’ cresciuta una generazione di moralmente impotenti, di homunculi, che non ha più il minimo concetto della poesia e della felicità bacchica: una generazione di uomini inferiori… fanatici di una salute senza gioia, che col vaneggiamento degli asceti abbaia contro il delizioso culto e vorrebbe con l’ignoranza degli iconoclasti infrangere le belle statue antiche, per erigere sulle rovine degli altari di Bacco e di Venere una tenda-ospedale a beneficio dell’uomo normale, di quell’uomo senza canti e senza suoni, senza donne e senza vino, che dovrebbe vivere una diecina d’anni in più di noi. Vivere? Trascinare per dieci anni di più la noia di un’esistenza somigliante a quella della rana amica dell’acqua, mettere al mondo altri esseri acquatici della stesa specie e guardarsi intorno con occhi imbabolati …” (p. XXI-XXII). Consiglia Barth, parafrasando Pantagruel: si beva dunque “come rimedio sicuro contro la sete, contro il terrore della morte, contro la melanconia; bisogna bere eternamente e sorseggiare theologalmente; si beva come un templare, come una spugna, come la terra quando è secca, e di buon’ora; bevete sempre e non morirete mai perchè il vino dà la divinità”. (p. XXVII)

[Schede bibliografiche e testi di Anna Alloro bibliotecaria in Casanatense, estratti dal catalogo della mostra “Le cucine della memoria” allestita in Casanatense nel 1993 in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione promossa dalla FAO.]

B. Pinelli, Il carretto del vinaio

Hans BARTH
Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri. Traduzione di Giovanni Bistolfi con prefazione di Gabriele D’Annunzio. Firenze, Le Monnier, [1922]
M5. V. 21

Si pubblica ai primi del secolo, prefata da Gabriele D’Annunzio, la “lepidissima e disertissima” Guida spirituale delle osterie… di Hans Barth, della quale, nel 1922 esce, riveduta e ampliata, la seconda edizione. Il “multibibens doctor” Barth, tedesco “romanizzato” al punto da voler essere seppellito nel cimitero protestante di Testaccio, vive lungamente a Roma dove è conosciutissimo negli ambienti artistici e letterari. Spesso, dopo aver bisbocciato tutta la notte, attende l’alba in qualche buona osteria e sempre, dopo parecchi litri de quello bbono gli occhieggia dal fondo la divina Saufeia o, a un tavolino d’angolo, gli appare la dolce compagna di Goethe, Faustina. In questa sua operetta, quasi con piacere iniziatico, guida l’inesperto assetato nelle migliori osterie della città, lo invita poi alle libagioni fuori porta e conclude infine il giro in un tinello o in una frasca dei Castelli. Di ogni locale descrive l’ambiente, gli avventori e l’oste con la famiglia al completo, non dimenticando mai di segnalare piatti tipici e vini, è ovvio.

B. Pinelli L’osteria della Colonna

Prima ancora di iniziare il giro offre al visitatore assetato, appena giunto a Roma, un vademecum di consigli pratici: dei vini celebrati nella Roma antica sopravvive solo quello di Albano, per di più battezzato con l’acqua del Tevere o tagliato con i forti di Ripa; scoprire da soli le buone osterie è impossibile, qualche aiuto possono darlo i vetturini che, non a caso, conducono botti. In linea di massima le migliori sono quelle alla buona; i numeri sulla porta indicano il prezzo del mezzo litro che si aggira sugli otto soldi.
La scritta Vini scelti di Frascati è una menzogna bella e buona; dove invece si legge Oggi si scarica o meglio, dove si nota un carretto davanti alla porta, si può sperare che il vino sia buono, sebbene la strada tra Frascati e Roma “non corra poi così lontana dal Tevere e in ogni osteria gorgogli una fontana”.

Una volta dentro ci si ritrova avvolti dal puzzo dei sigari toscani, dalla vista degli avventori che sputano rumorosamente a terra e da un gruppetto di artisti biondi che siedono appartati in un angolo: la corpulenta ostessa troneggia al banco, l’oste panciuto e col cappello in testa è seduto a un tavolo e il cameriere, spesso un blasonato in miseria, serve ai tavoli con la salvietta sulla spalla e le dita nei bicchieri e nei colli dei mezzi litri.
Il vino consigliato è quello asciutto, sul quale far depositare ogni tanto qualcosa di solido; altro consiglio è quello di non abbracciare mai l’ostessa o accarezzare il mento della figlia: anche se a Roma il forestiero è sacro quanto il gatto, l’oste potrebbe innervosirsi; ultimi due consigli pratici: contro le febbri romane “mettere tutte le sere il proprio ventricolo sotto un alto strato di vino rosso”, e contro il cerchio alla testa un cucchiaio di bicarbonato di soda seguito, dopo dieci minuti, da due tazze di thè bollente e ricordare sempre la massima latina: Qui bibit bene dormit, qui dormit non peccat, qui non peccat venit in coelum: ergo, qui bibit venit in coelum.

OSTERIE romane. Prefazione di Giuseppe Bottai.
Milano, Casa editrice Ceschina, 1937
C6. V. 16
Forse la decisione da parte dei “Romani della Cisterna” di raccogliere in volume alcuni scritti sulle osterie romane è stata presa proprio davanti a un buon litro, seduti intorno a un tavolo in compagnia del “padrone”:
Osterie romane
 infatti, pubblicato nel 1937, pur redatto a più mani, rivela un humus comune che si estrinseca nel desiderio di testimoniare come una certa Roma sopravvive nelle manifestazioni più semplici e immediate del suo popolo, e come certe tipologie di uomini, luoghi, cibi e consuetudini permangono immutati nel trascorrere del tempo. Già negli anni ’30 alcune osterie non ci sono più.
Zeffirino stava nella piazzetta degli Otto Cantoni; era sempre pieno di studenti dell’Istituto di Belle Arti che divoravano i funghi arrosto con lo spicchio d’aglio “in agguato”, ma non potevano pagare e allora gli affrescavano le pareti del locale. Ai Tre Scalini, in Parione, era cliente abituale Hans Barth che alternava i vini di Frascati e Grottaferrata con la trippa alla romana della sora Lella. A piazza Montanara invece, dove corre diritta la via del Mare, c’erano le osterie frequentate dai campagnoli che facevano colazione con gli spaghetti. Il vino è buono anche se non è sempre quello di Frascati. Giggi ai Prefetti è originario di Albano, spaccia vino di Grottaferrata e dice che viene da Frascati; anche il Sor Antonio, vicino al Caffè Greco, innaffia gli spaghetti con rigaglie di pollo o i facioli con le codiche col vino di Frascati che arriva da Olevano Romano.
Zi’ Pippo, al vicolo del Soldato, è frequentato dalla stampa e ci si mangiano squisite pagnottelle di provatura e alici. In via Mario dei Fiori, alla Bevitoria di Felicetto, la moglie Esterina cucina alla buona trippa al sugo, involtini di vitella, stufatino col sedano; e il vino, ripete sempre Felicetto nun è vino, è cognac!; gli artisti squattrinati vanno da Basilio, in via Laurina: mangiano fettuccine e pollo in padella innaffiati con vero Frascati e, soprattutto, “segnano”: e poi, è già successo una volta, regalano a Basilio una bella matita ben appuntita per il suo compleanno.
A piazza della Rotonda c’è il Tempio di Agrippa, la vecchia Cantina Scrocca di Checco e Giulia; adesso l’ha presa Menicuccio, il cameriere, che prepara certe tegamate di carciofi a spicchi, animelle, funghi e uccelletti da leccasse le deta; mentre alla Chiesa Nuova, dalla sora Elvira, all’insegna della Fontaniera, fra pollo in padella alla romana con peperoncino e pomodoro fresco, pollo alla diavola, spaghetti alla matriciana e pesce di giornata c’è solo l’imbarazzo della scelta; il vino è di Grottaferrata.
Da Madonna bona, in piazza Capizucchi, per pochi soldi ti servono abbacchio arrosto, trippa o baccalà in guazzetto; da Samuele a piazza Costaguti è tutto buono: vini, carni, verdure, pesce e frutta; specialità della casa: minestra di fagioli, coratella coi carciofi, crostini alla provatura e carciofi alla giudia. In Trastevere, dal Pastarellaro, la pasta è tutta fatta in casa, sia le fettuccine per il ragù con regaglie che i fedelini per il brodo di pollo; e da Pippo Burone, con la sora Vittoria in cucina, c’è un trionfo di gnocchi alla romana, minestre col battuto, coda di bue alla vaccinara, trippa al sugo, stufatino ai carciofoli al tegame, pasticcio di maccheroni e, per finire, visciolata.
E se poi, per sbaglio, si dovesse finire in galera, non c’è da preoccuparsi più che tanto; alla Lungara, infatti, proprio sul lato sinistro di “Regina Coeli”, c’è una bella fila di “osteriucce” che si sono specializzate nella preparazione dei pasti per i detenuti: si possono ordinare cotolette d’abbacchio o salsicce, magari proprio all’Osteria degli uccelli in gabbia.

Le immagini sono tratte dal Ms. 1417

[Disegnatore italiano sec. XVII-XVIII]
Modelli di bicchieri
inchiostro bruno, acquarello, foglio 410x280mm

1746 / adì 8 Febbrajo / Comprato il presente Codice / di Bicchieri numero MDLXXIV, / oltre altri XV al fine / non segnati col numero: / e pagato Paoli quarantasette compresi i quattro / spesi nella legatura; / per lo che anche negletti li XV accennati / gli altri 1574 nemeno sonosi pagati un quattrino 7 e mezzo l’uno / quanto a chi gli à ideati e disegnati senza / dubbio anno portato studio e fatica / degni di presso molto / Maggiore / Ma per la Libreria servendo di ornamento a pura / curiosità / non conveniva pagarli di più.
La nota manoscritta che si legge sul frontespizio del codice cartaceo, di mano del Padre Gian Domenico Agnani, prefetto della Casanatense dal 1733 al 1746, indica esattamente il contenuto del volume costituito di 367 carte, ora numerate meccanicamente, sul recto delle quali sono eseguiti uno o più disegni di bicchieri, coppe ed ampolle nelle forme più fantasiose.
In totale si tratta di 1574 modelli numerati e 15 non numerati realizzati ad inchiostro bruno sfumato, a volte parzialmente acquarellati in rosa, azzurro, lilla, rosso, appartenenti tutti alla stessa mano. A c. 362 un disegno a matita per un modello di fontana di mano diversa.
Opera curiosa ed interessante questa “bicchierografia” trova un parallelo illlustre nell’analoga raccolta di Giovanni Maggi, in quattro codici conservati il primo e il quarto nel fondo Magliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze, (XVIII, 10); il secondo e il terzo al Gabinetto dei Disegni degli Uffizi, (nn. 97339-97746) (cfr. ed. facs. Barocchi, 1977).

[Scheda bibliografica e testo di Annamaria Torroncelli estratti dal catalogo della Mostra: “Il vino tra sacro e profano” allestita in Casanatense nel 1999 in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione promossa dall FAO.]