Trattato elementare, teorico-pratico sull’arte del ballo di Anna Alberati

Carlo De Blasis
Questo Trattato elementare, teorico-pratico sull’arte del ballo è la prima traduzione italiana (fatta nel 1830 da Pietro Campilli e stampata a Forlì dalla Tipografia Bordandini) del Traité élémentaire, théorique et pratique de l’art de la danse (Milano, 1820), il primo trattato di carattere teorico-didattico sul balletto scritto dal ballerino, coreografo, didatta e trattatista Carlo de Blasis.
L’autore, nato a Napoli il 4 novembre 1795, aveva ricevuto un’ottima quanto ampia educazione dal padre Francesco, un noto compositore di musica, soprattutto di opere liriche e di balletti.
Dopo la fuga con la famiglia dalla città natia a causa dell’avvento della nuova Repubblica Napoletana, nel 1807 Carlo debuttò con grande successo a Marsiglia, per proseguire poi la sua luminosa carriera di ballerino a Bordeaux e in altre città, comprese quelle che all’epoca erano i principali centri della danza: Parigi, Milano e Londra. Fu un danseur noble, interprete di personaggi nobili ed eroici; ma oltre alle doti di dignità e di misura, tipiche del ruolo, sembra che avesse anche una dote di leggiadria e di grazia tutta speciale.
Nel 1828 sposò Annunziata Ramaccini, ballerina e mima, con la quale iniziò una collaborazione importante sia nella danza che nella coreografia, ma soprattutto in quell’attività di teorico e di didatta della danza che lo doveva rendere assai famoso, e che proseguì fino alla sua morte, avvenuta a Cernobbio sul lago di Como il 15 gennaio 1878.
Blasis intraprese questa attività fra il 1817 e il 1829, già durante la carriera di ballerino, che declinò lentamente dopo il 1825 a causa di un incidente a un piede. Insieme alla moglie operò in diverse prestigiose scuole europee, a cominciare dalla scuola della Scala di Milano, poi a Parigi, a Varsavia, a Lisbona, al Bol’šoj di Mosca. Aprì anche una scuola privata.
Particolarmente importanti furono il periodo trascorso come maestro di perfezionamento a Milano, dal 1837 al 1850, e i due anni passati a Mosca, dal 1861 al 1863: gli allievi che ricevettero l’insegnamento dei coniugi Blasis divennero tutti grandissimi ballerini. Le maggiori stelle del balletto russo dell’Ottocento e del primo Novecento uscirono tutte dalla loro scuola o da quelle del loro allievo Giovanni Lepri e di Enrico Cecchetti (1850-1928) – a sua volta allievo del Lepri – che fu in assoluto uno dei più famosi insegnanti di danza.

Trattato elementare, teorico-pratico
Nella storia della danza classica (o balletto) le grandi scuole sono tre: la francese, la russa e in particolare l’italiana, che, dopo l’inaugurazione dell’Accademia Imperiale della Danza collegata al Teatro alla Scala di Milano nel 1812, ha il suo vero inizio nel 1837, proprio con l’avvento del Blasis alla direzione. La scuola italiana diventò famosa per le sue caratteristiche di forza e per il virtuosismo dei suoi ballerini, che strabiliavano il pubblico con la loro incredibile tecnica basata sulle cinque posizioni dei piedi, sul lavoro delle punte, sulle battute, sui diversi tipi di rotazioni, elevazioni ed estensioni.
Nel Traité erano già state poste le basi teorico-didattiche della danza classica accademica che furono successivamente sviluppate dal Blasis nella sua seconda opera, il fondamentale Code of Terpsichore, tradotto da Barton dal testo originale francese (Londra, 1828 e 1830), che conobbe poi la massima diffusione nella traduzione francese di Paul Vergnaud, dal titolo Manuel complet de la danse (Parigi, 1830).
La parte dominante di questo agile ma denso Trattato (del quale la Biblioteca Casanatense possiede un esemplare fra i pochissimi ancora esistenti) è quella che vede redatte una serie di istruzioni assai dettagliate relative alle cinque posizioni della danza accademica e al corretto uso delle braccia e delle gambe da parte dei danzatori.
Completano e arricchiscono il testo 14 tavole incise da Luigi Rados su disegno di Casartelli, nelle quali sono rappresentati i danzatori nelle varie posizioni del balletto. Modello dei ballerini delle illustrazioni fu lo stesso Blasis.
Il primo quarto del XIX secolo vide nascere metodi di insegnamento sempre più avanzati, mirati soprattutto allo sviluppo del ruolo della ballerina (in quanto il ballerino era stato degradato a semplice premier porteur, costretto a servire e sostenere la ballerina, aspettando all’ombra della sua gloria di afferrarla e sollevarla da un grand jeté all’altro).
Con l’ambizione di migliorare la qualità, ma soprattutto di ampliare la tecnica, diversi maestri e teorici cercarono di trovare il giusto mezzo fra la nobiltà della tradizione e l’audacia della novità nel campo della danza accademica.
Uno di essi fu appunto Carlo de Blasis, il quale, con i suoi scritti, pose le basi della didattica della danza: come si espresse il critico André Levinson, la sua funzione storica fu quella di “guidare la barca della danza classica del Sei e Settecento alla riva del balletto romantico”.
Blasis introdusse un codice per quella che diventò poi la gestualità pantomimica, che per lui era “l’anima stessa e il sostegno del balletto”: il suo metodo agevolava la leggerezza fluttuante, la qualità aerea della danza. Non poté ignorare le richieste di virtuosismo del suo tempo, ma insieme considerò l’eccesso, che in quegli anni era l’estro sfrenato tipico dei romantici, come il grande nemico dell’arte del balletto.
Ricercò sempre l’eleganza e la nobiltà della grazia interiore, perfino quando approvava la piroetta, che descrisse nei minimi dettagli, come una spirale multipla eseguita il più alto possibile sulle mezze punte, e ne lodava la bellezza plastica.
Dall’osservazione della scultura e della pittura dell’antichità e del Rinascimento introdusse l’attitude, una delle pose di base della danza: l’ispirazione nacque in lui dalla statua del Mercurio del Giambologna, e così in questa attitude il ballerino sta su una gamba e porta l’altra gamba, con il ginocchio piegato, dietro di sé con un angolo di novanta gradi, una posa che è la gioia pura del virtuosismo, e che anticipa le molte variazioni del pas jeté. Il Blasi ebbe una personalità creativa e fu una figura di alto livello intellettuale: delle sue molte coreografie non sono rimasti che pochi titoli, i soggetti tipici del suo tempo, come Faust e Manfredi da Byron. Fu l’unico ad avere, in un’epoca di eccessi romantici, un atteggiamento conservatore, che lo portava a seguire la regola dei tre generi di danzatori in un’epoca in cui questa nozione stava radicalmente perdendo terreno e ragion d’essere.
I tre generi erano: il danseur noble, l’eroe tipo, il ballerino serio e maestro nell’adagio, il movimento lento e sostenuto; il demi-caractère, generalmente un uomo di altezza media, vivace e brillante, per lo più adatto a una mescolanza di tutti gli stili; e il ballerino del genre comique, danzato da uomini piccoli e vigorosi di costituzione robusta e corta.
Accogliendo definitivamente le teorie di Jean-Georges Noverre, al fine di rendere credibile l’interpretazione dei ruoli, i danzatori venivano indirizzati a un genere piuttosto che a un altro anche in base alle doti fisiche o al temperamento. Così il Blasis, ispirandosi anche alla concezione neoclassica del “bello ideale”, prese a particolare riferimento la scultura per evidenziare le caratteristiche del ballerino “serio”, di quello di “mezzo carattere” e di quello “comico”.
Nel balletto romantico, tuttavia, oltre a perdere il connotato puro di danseur noble, il ballerino lasciò posto alla ballerina, che assunse una posizione di primissimo piano, grazie anche all’introduzione del tutù bianco e fluttuante (“la gonna di tarlatana multistrato”) che rimpiazzò il costume di corte (e che da allora è sempre stato il simbolo della ballerina) e delle scarpette con la punta di gesso.
Entrambe queste innovazioni tecniche contribuirono alla costruzione dell’immagine di un essere etereo, librato verso l’alto, che si muove nello spazio con infinite leggerezza e grazia.
Di particolare interesse è il ritratto che di Carlo de Blasis ha fatto la storica della danza Vittoria Ottolenghi nella voce del Dizionario Biografico degli Italiani, di cui si riportano alcuni passi:
“C.B. emerge come il più grande e il più completo codificatore della danza accademica: colui che spiegò e ordinò il problema della danza sulle punte, che seppe coordinare l’uso della danza terre-à-terre con quella aérienne, in altre parole colui che operò nella teoria e nella pratica il passaggio tra la danza classica del Sei e Settecento a quella romantica ottocentesca. Ma il B. risulta ben altro di un semplice ponte di passaggio tra balletto classico e romantico. E il suo valore non è soltanto come grande accademico, esponente di geniale e rigorosa didattica, anche se i suoi meriti in questo campo sono fondamentali […] e anche se la danza accademica come il B. l’ha lasciata è sostanzialmente rimasta tale fino ad oggi, integrata e affinata da suoi allievi diretti.
Il B. ha dimostrato d’essere un passo più avanti – forse molti passi avanti – dei grandi teorici precedenti, Angiolini e Noverre. Se essi infatti restituirono alla danza valore d’arte identico e parallelo a quello di tutte le altre arti, il B. con tutta la sua opera sembra dirci qualcosa di estremamente moderno e che forse soltanto oggi, dopo le esperienze di questo secolo, cominciamo effettivamente a capire: la danza non è un’arte a sé, un mondo autonomo, avulso da problemi immediati di comunicazione. La danza è teatro e il suo fine è precipuamente teatrale. Con la danza si può esprimere, dire, raccontar tutto, e per far questo coreografo e interpreti debbono essere profondamente consapevoli dei problemi del proprio tempo, oltre che tecnicamente perfetti. La perfezione tecnica è per il B. di importanza pari al valore morale o artistico della tematica, della musica e della messinscena. […].
Questo il grande valore del B.[ …]: il virtuosismo e la perfezione dell’esecuzione sentiti – o magari intuiti – come fondamentale molla espressiva. E questo in accordo con quelli che saranno i principi teorici contemporanei, i quali proprio nell’uso del virtuosismo in funzioni espressive hanno raggiunto vertici tra i più alti […]”.
Le parole di Carlo de Blasis
Proemio: “Il piccolissimo numero d’opere che si sono scritte sopra il Ballo, ed il poco merito di qualcuna, mi hanno incoraggiato a pubblicare questo Trattato. La maggior parte degli scrittori, dei quali io parlo, sono, a dire il vero, bravissimi letterati, ma non sono giammai stati ballerini. …
Per meglio venire a capo di ciò che mi sono proposto intorno alla formazione d’un buon ballerino, aggiungo ai precetti che contiene il mio Trattato, delle figure che ho fatto disegnare sopra me stesso: esse presentano le posizioni del corpo, delle braccia, delle gambe; le differenti fermate, le attitudini ed i rabeschi.
Gli allievi avendo questi esempi sotto gli occhi, capiranno facilmente i principj teorici che io loro insegno. …
Le figure sono disegnate dal Sig. Casartelli, e scolpite dal Sig. Rados”.
“Bisogna che il ballerino possa ad ogni istante servire di modello ai pittori e agli scultori”.
“La posizione che i ballerini chiamano particolarmente attitudine, è la più bella di quelle che esistono nel ballo, ed è la più difficile nella sua esecuzione; ella è a mio giudizio una specie d’imitazione di quella che si vede sul celebre Mercurio di G. Bologna”.
Attitude: Mercurio di Giambologna: tav. IX, fig. 1
Attitude: tav. VIII, fig. 1
Attitude veduta di profilo: tav. VIII, fig. 2
Maniere diverse di mettersi in attitude: tav. VIII, fig. 3 e 4
Arabesque: tav. X, XI, XII

“Egli è ai progressi maravigliosi del ballare moderno che noi dobbiamo le pirouettes; i nostri antichi ballerini non le conoscevano … L’esecuzione attuale delle diverse pirouettes è veramente straordinaria, poiché si è giunto a conservare il perpendicolo il più che sia possibile, ed a mantenere il corpo nell’equilibrio il più perfetto. Si potrebbono forse stimare i Signori Gardel, e Vestris, come gli inventori delle pirouettes; quest’ultimo è quello che perfezionandole le ha moltiplicate, e le ha messe più alla moda. … Nel ballo non v’ha nulla che sorpassi questa difficoltà”.
“Le posizioni, le attitudini del ballerino, le più conosciute, e le più usate nelle pirouettes sono:
alla seconda (tav. VI, fig. 1), in attitudine (tav. VIII, fig. 1), e sopra il collo del piede (tav. IX, fig. 4)
“Il ballerino può girare in ogni sorta di attitudini e arabeschi, purché il disegno del suo corpo, delle sue braccia, e delle sue gambe sia grazioso e facile, e che il movimento delle sue braccia sia naturale, e spoglio di una penosa, e spiacevole affettazione. Terminando si possono fermare le pirouettes in tutte le fermate, attitudini, e arabeschi”.
Blasis, Carlo de Trattato elementare, teorico-pratico sull arte del ballo contenente li sviluppi e dimostrazioni de’ principi generali, e particolari, che devono guidare il ballerino di Carlo Blasis primo ballerino tradotto dal francese dal primo ballerino e compositore di balli Pietro Campilli. In Forlì, Tipografia Bordandini, 1830 89 p., XIV c. di tav., 22 cm – coll. Misc. 551.18