Collezione di Calchi in zolfo di varie misure

La raccolta di calchi giunse in biblioteca con il suo catalogo di vendita: Catalogue de souffres tirés de cameés, et pierres gravés antiques. Revu et corigé par M. r l’Abbe Visconti Président des antiquitez de Rome du 1768 che termina con Les susdit souffres avec d’autres antiquites… se vendent a Rome par Gemme Gioni demeurant au Cours dans une bouttique vis a vis le palais de S.E. le prince de Fiano… (Ms. Cas. 469/2).

L’elenco è per soggetti: figure di divinità; storia; filosofi, poeti ed oratori; re di Macedonia e d’Egitto; consoli romani, imperatori ed imperatrici; ritratti vari. Per ogni sezione è indicato il numero dei calchi e per ognuno di questi il materiale del pezzo originario: marmo, bronzo, cristallo di rocca, corniola, calcedonia, agata, ametista. I calchi sono fissati, come d’uso per queste raccolte, su quindici piani di legno (cm 32,9×20,3) impilabili a comporre una cassetta e sono realizzati con una finezza ed una precisione di lavoro che li rende certamente pregevoli.
Molto interessante è anche la singolarità del materiale d’esecuzione, una pasta di zolfo, spesso confusa con la cera rossa che, insieme al gesso, era il materiale comunemente utilizzato per i calchi.
Sulla tecnica di questi lavori in zolfo, per i quali sembra difficile trovare sia documentazione storica che memoria antiquaria, riferisce G. A. Aldini nelle sue Instituzioni glittografiche, pubblicate a Cesena nel 1785: «Un’altra materia molto adattata per cavar bellissime impronte è il Zolfo, il quale convien che sia ben purgato, e puro: questo liquefatto con una porzione dimidiata di qualche colore a piacimento, come sarebbe il minio, la terra verde, il negrofumo, l’ocra, o cosa simile, e ben incorporato con tali colori si versa sopra una carta alquanto consistente, ed un poco unta con olio d’oliva, sopra la quale si distende il zolfo liquefatto; di questo se ne prende poscia quella porzione, che può bastare per fare un’impronta della grandezza della pietra, che volete rappresentare, si pone in un cucchiajo di ferro, o di ottone, e si fa lentamente liquefare una seconda volta, avendo sempre l’avvertenza di levare ogni sporcizia, o schiuma, che sopra vi apparisse; si versa poscia pian piano sopra la Pietra, che dee essere aggiustata o, in picciol contorno di piombo, o di cartoncino fermato all’intorno con un filetto di ottone, affinché riceva la materia senza pericolo che si versi; e questa rappresa si stacchi destramente dalla Pietra… Fatte, che si sieno le impronte, se ne levano via le labbra, si tosano, si limano, e si dà loro una forma regolare. Per ultimo apparecchio si circondano con piccioli pezzi di cartone dorato sull’orlo, dove si trovano rinchiuse, come in una cornice, e che oltre a questa pulitezza, che loro procurano, servono ancora di riparo contra l’urto, e le rendono più durevoli. Se si hanno molte di queste impronte si dà loro ordine, e per poterle più comodamente considerare, s’incollano sopra a de’ cartoni, o sopra tavolette, le quali si ordinano, come tante cassettine in un picciolo armadio, come suol farsi delle medaglie.» (pp. 338-339, 343)

scheda di Iolanda Olivieri pubblicata in La Biblioteca Casanatense, Firenze, Nardini, 1993